La Commissione Generale della Pesca nel Mediterraneo ha istituito la più grande zona di restrizione alla pesca (FRA) nell’Adriatico, nel Canale di Otranto tra Italia e Albania. Questa area proteggerà oltre 1.900 km² da attività di pesca intensiva, salvaguardando specie e habitat marini essenziali, come coralli e spugne profonde. (fonte)
Questa vittoria rappresenta solo l’inizio di un percorso complesso che richiederà una gestione attenta e la partecipazione attiva delle comunità locali e delle parti sociali coinvolte.
La sfida della gestione e del coinvolgimento delle parti sociali
Creare un’area protetta è solo il primo passo; ora viene il difficile: la gestione e il coinvolgimento delle parti sociali. Senza una governance inclusiva, infatti, ogni piano di conservazione rischia di rimanere un’intenzione sulla carta. Per proteggere effettivamente queste risorse, è necessario collaborare con pescatori, operatori turistici, enti locali e comunità locali, ascoltando e integrando le loro esigenze e preoccupazioni. Solo attraverso un dialogo aperto si potrà garantire il rispetto delle misure di protezione e incoraggiare pratiche sostenibili.
Il coinvolgimento delle comunità locali non è solo una questione etica, ma anche strategica: la partecipazione attiva e consapevole aumenta la responsabilità e la cooperazione per preservare l’ambiente marino. È fondamentale evitare un approccio “calato dall’alto” (top-down) e promuovere invece soluzioni condivise che rispondano alle necessità di chi vive e lavora in queste aree.
Verso un’area protetta transnazionale: protezione per mammiferi marini, tartarughe e pesci cartilaginei
Questa riserva potrebbe aprire la strada verso la creazione di un’area protetta transnazionale in grado di affrontare le minacce che attraversano i confini nazionali. L’Adriatico è un mare condiviso, con un’importante biodiversità e le sue risorse appartengono a tutti i paesi che vi si affacciano. Questo tipo di area protetta consentirebbe di implementare piani di conservazione coordinati per specie particolarmente vulnerabili, come i mammiferi marini (delfini e balene), le tartarughe marine e i pesci cartilaginei (come squali e razze).
La pesca industriale è solo una delle tante minacce che mettono a rischio queste specie. Inquinamento, traffico marittimo, degrado degli habitat e cambiamenti climatici costituiscono pressioni costanti sugli ecosistemi. Creare una rete di protezione transnazionale significa affrontare questi problemi a livello macro, comprendendo come le azioni di un singolo paese possano influire sull’intero bacino adriatico.
L’importanza di un impegno coordinato
Perché un’area protetta transnazionale abbia successo, serve un impegno coordinato e continuativo da parte dei governi dei paesi coinvolti e un’efficace struttura di gestione che permetta il monitoraggio delle specie e la valutazione dell’efficacia delle misure adottate. Fondamentale sarà stabilire linee guida comuni per le attività economiche, come la pesca, ma anche per la regolamentazione del turismo e del traffico navale.
L’istituzione di questa riserva rappresenta un segnale importante: i tempi sono maturi per un cambiamento radicale nell’approccio alla gestione delle risorse marine. Con una governance partecipativa e un’azione congiunta, possiamo proteggere e valorizzare questo patrimonio naturale, affinché rimanga fonte di vita e di sostentamento per le generazioni future.